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LA SENTENZA N. 17757/2016 DELLE SEZIONI UNITE DIRIME I CONTRASTI IN TEMA DI OMESSA DICHIARAZIONE E RIPORTO DEL CREDITO

La complessità e l’incertezza delle questioni giuridiche hanno richiesto l’intervento nomofilattico delle sezioni unite e la sentenza n. 17757 (depositata in data 08/09/2016 – relatore Dr. Ettore Cirillo) ricostruisce puntualmente l’evolversi del quadro normativo, giurisprudenziale ed amministrativo di riferimento e tirando le fila del discorso perviene alla formulazione del seguente principio di diritto: “ la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta –risultante da dichiarazioni periodiche regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno (art. 19 c. 1 DPR 633/72) a quello in cui il diritto è sorto- sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuenti tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato dal giudice d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in modo concreto- ovvero non controverso- che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili”.
In altre parole se il credito emerge dai registri IVA e dalle liquidazione periodiche a nulla rileva l’aspetto formale della mancata dichiarazione, siccome la sostanza deve prevalere sulla forma e pertanto l’Amministrazione Finanziaria non può pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza.
La sentenza delle Sezioni Unite sottolinea come il meccanismo della neutralità dell’IVA e della deducibilità delle eccedenze d’imposta derivi dal diritto dell’UE nell’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia e consequenzialmente si allinea sulla posizione ormai consolidata di quest’ultima(caso Idexx) che già si è espressa nel ritenere come il principio di neutralità dell’IVA esiga che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono stati soddisfatti anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi.
In definitiva, la sentenza delle Sezioni Unite sancisce inequivocabilmente l’illegittimità della prassi dell’Amministrazione fiscale (cfr. circolare n. 34/E del 6 agosto 2012 secondo cui l’omessa dichiarazione non prevedeva il riporto del credito), orientamento successivamente attenuato con la circolare 21/E del 25 giugno del 2013 che ha consentito al contribuente di dimostrare in sede amministrativa la spettanza del credito, restando in ogni caso dovute le sanzioni.

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L’UTILIZZAZIONE DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO TRIBUTARIO NEL PROCEDIMENTO PENALE

Si segnala una sentenza del Tribunale Penale di Milano Sez. III (n. 8366/14) che ha affrontato la questione dei rapporti tra processo tributario e processo penale.
Nel caso di specie la contestazione del reato di omessa dichiarazione ex art 5 D.Lgvo n. 74/2000 trovava fondamento nella determinazione del reddito imponibile a mezzo del metodo induttivo disposto ai sensi degli art 41 DPR 600/73 e 55 DPR 633/72.( caso di “evasore totale”).
In proposito va rammentato che la Suprema Corte con sentenza n. 3995/2009 ha stabilito che anche in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’A.F. deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti tanto che, qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati induttivamente. Diversamente si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo anziché quello netto e ciò in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’art 53 Cost.
Nel caso di specie l’avviso di accertamento – peraltro non impugnato e quindi ormai definitivo – non ha tenuto conto delle componenti negative del reddito, comunque emerse in sede di accertamento, e ciò nonostante la Procura ha fatto proprie le conclusioni alle quali era pervenuta l’A.F.
Il Giudice penale, invece, ha evidenziato come per imposta evasa deve intendersi l’imposta dovuta da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili e a fronte dell’esistenza di costi effettivamente sostenuti di cui non è stato dato conto o comunque induttivamente determinabili, è pervenuto alla conclusione che non sia stata raggiunta la prova del superamento della soglia di punibilità prevista dall’art 5 D.lvo 74/2000, prosciogliendo così l’imputato dal reato ascrittogli con la formula “perché il fatto non sussiste”.

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