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ASSOCIAZIONE SPORTIVA – SPONSORIZZAZIONE E PUBBLICITA’ – DETRAIBILITA’ DELL’I.V.A.

Si richiama un’interessante massima della Comm. Trib. Reg. Liguria Coll.2  del 6/5/2019 n. 530 in tema di sponsorizzazione e pubblicità e ciò ai fini della detraibilità  dell’I.V.A. da parte delle associazioni sportive.

In conformità alla giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, la sponsorizzazione, pur potendo essere ricondotta al concetto ampio di pubblicità, nondimeno, come specifica forma contrattuale creata dall’autonomia privata, se ne distingue.

In relazione, per esempio, ad un evento sportivo si ha mera pubblicità se l’attività promozionale è, rispetto all’evento stesso, in rapporto di semplice occasionalità  (è il caso di cartelli collocati ai margini di un campo sportivo rispetto ai quali qualsiasi fatto agonistico è  occasione per rendere operativo il messaggio propagandistico),  mentre si  ha sponsorizzazione se tra la promozione di un nome o di un marchio e l’avvenimento agonistico viene istituito uno specifico abbinamento.

Intesa in questo senso la sponsorizzazione è in relazione non di mera occasionalità ma di “connessione” con lo spettacolo. Pertanto nel caso in cui sia riscontrabile una continuità nel tempo della prestazione dovrà essere esclusa la “semplice occasionalità”, con la conseguenza che sarà configurabile una sponsorizzazione e non una pubblicità, con le relative limitazioni ai fini della detraibilità dell’I.V.A.

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Brevi considerazioni in tema di sponsorizzazione ex art. 109 D.P.R. 917/86

Le spese di rappresentanza costituiscono somme corrisposte a titolo gratuito oppure con mere finalità promozionali, che consistono nella divulgazione sul mercato dell’attività svolta, dei beni e dei servizi prodotti a beneficio sia di attuali clienti che di di clienti potenziali, o di pubbliche relazioni, cioè volte a diffondere od a consolidare l’immagine dell’impresa ed accrescerne l’apprezzamento presso il pubblico. L’elemento discretivo rispetto alle spese di pubblicità è la gratuità, ovvero la mancanza di un corrispettivo in capo alla controparte e di un correlato obbligo di dare o fare. In assenza di gratuità non può pertanto esserci spesa di rappresentanza.
Sotto altro profilo, una spesa di rappresentanza deve inoltre risultare ragionevole, cioè idonea a generare ricavi adeguati rispetto all’obbiettivo atteso in termini di ritorno economico oppure, in alternativa, deve essere coerente con le pratiche commerciali del settore.
Per quanto riguarda invece i contratti di sponsorizzazione, essi prevedono l’utilizzazione ai fini promozionali dell’attività, del nome o dell’immagine del soggetto sponsorizzato dietro un corrispettivo in denaro. Il criterio determinante a distinguere spese di sponsorizzazione e spese di rappresentanza è l’aspettativa di ritorno commerciale, per cui le prime sono tese ad ottenere un incremento più o meno immediato delle vendite di prodotti o servizi mentre le seconde mirano ad un potenziamento del prestigio e dell’immagine dell’impresa, senza l’aspettativa di un ritorno commerciale diretto.
Si evidenzia altresì come le spese di sponsorizzazione siano sempre deducibili dal reddito d’impresa, anche in assenza di risultati tangibili in tema di incremento del fatturato; di conseguenza conformemente alla giurisprudenza della Suprema Corte, è illegittimo giudicare ex post, da parte dell’Ufficio, l’effetto della sponsorizzazione e concludere che, ove l’aumento delle vendite non sia sensibile, allora il costo sia antieconomico e quindi non deducibile, essendo la valutazione circa la congruità del costo riservata all’autonomo giudizio dell’imprenditore. Per ritenere un costo non congruo o non inerente non ci si può limitare ad affermare che esso appaia difforme rispetto alla tendenza di mercato ma occorre accertare che esso sia estraneo all’attività di impresa. In ogni caso i requisiti di determinabilità e di certezza devono essere sempre soddisfatti dall’imprenditore; ad esempio la standardizzazione del contratto, la mancata indicazione delle modalità di determinazione del corrispettivo, la genericità delle fatture ed insomma la carenza di documentazione possono portare al disconoscimento dei costi afferenti una sponsorizzazione.

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LA SENTENZA N. 17757/2016 DELLE SEZIONI UNITE DIRIME I CONTRASTI IN TEMA DI OMESSA DICHIARAZIONE E RIPORTO DEL CREDITO

La complessità e l’incertezza delle questioni giuridiche hanno richiesto l’intervento nomofilattico delle sezioni unite e la sentenza n. 17757 (depositata in data 08/09/2016 – relatore Dr. Ettore Cirillo) ricostruisce puntualmente l’evolversi del quadro normativo, giurisprudenziale ed amministrativo di riferimento e tirando le fila del discorso perviene alla formulazione del seguente principio di diritto: “ la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta –risultante da dichiarazioni periodiche regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno (art. 19 c. 1 DPR 633/72) a quello in cui il diritto è sorto- sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuenti tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato dal giudice d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in modo concreto- ovvero non controverso- che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili”.
In altre parole se il credito emerge dai registri IVA e dalle liquidazione periodiche a nulla rileva l’aspetto formale della mancata dichiarazione, siccome la sostanza deve prevalere sulla forma e pertanto l’Amministrazione Finanziaria non può pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza.
La sentenza delle Sezioni Unite sottolinea come il meccanismo della neutralità dell’IVA e della deducibilità delle eccedenze d’imposta derivi dal diritto dell’UE nell’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia e consequenzialmente si allinea sulla posizione ormai consolidata di quest’ultima(caso Idexx) che già si è espressa nel ritenere come il principio di neutralità dell’IVA esiga che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono stati soddisfatti anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi.
In definitiva, la sentenza delle Sezioni Unite sancisce inequivocabilmente l’illegittimità della prassi dell’Amministrazione fiscale (cfr. circolare n. 34/E del 6 agosto 2012 secondo cui l’omessa dichiarazione non prevedeva il riporto del credito), orientamento successivamente attenuato con la circolare 21/E del 25 giugno del 2013 che ha consentito al contribuente di dimostrare in sede amministrativa la spettanza del credito, restando in ogni caso dovute le sanzioni.

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Omessa dichiarazione IVA e riporto del credito

La Sesta sezione civile Tributaria della Corte con ordinanza 22902/2014 ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per valutare l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite il problema della detraibilità di eccedenza di IVA, debitamente registrata nelle liquidazioni periodiche, in ipotesi di omissione della dichiarazione annuale relativa al periodo di maturazione di dette eccedenze in applicazione del combinato disposto degli artt. 19,27,28,30 e 55 DPR 633/1972.
E’ bene precisare che di solito nel contenzioso non è oggetto di contestazione la sussistenza del credito e per questa ragione la prima difesa del contribuente si risolve nell’evidenziare che la preclusione del diritto al riconoscimento del credito attiene alla fase amministrativa e non a quella giurisdizionale dell’accertamento del credito e quindi tale diritto deve comunque essere riconosciuto tutte le volte che il contribuente in giudizio ne abbia fornito alla prova.
Il contrasto giurisprudenziale richiamato nell’ordinanza citata attiene alla legittimità del ricorso alla liquidazione automatico da parte dell’A.F.; nel caso in cui l’atto impositivo si sia sostanziato nella liquidazione automatica, la difesa del contribuente eccepisce che la liquidazione automatica è tassativamente circoscritta alle ipotesi contemplate dall’art 54 DPR 633/1972, dovendo la maggior imposta scaturire ictu oculi dalle irregolarità formali della dichiarazione (ex multis Cass. 18/03/2009 n. 6517). Di conseguenza non rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 54 DPR 633/1972 le valutazioni circa il disconoscimento di un credito d’imposta derivante dalla dichiarazione dell’anno precedente che era stato omesso ( Cass. 3/04/2012 n. 5318).
La Corte di Cassazione si è già espressa in senso diametralmente opposto alla posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 34/E con l’ordinanza sopracitata la n. 5318/2012.
A tale proposito la Suprema Corte ha ribadito espressamente che il disconoscimento dei crediti risultanti dalle dichiarazioni omesse può avvenire solo con atto di accertamento e non con una mera comunicazione di irregolarità.
L’ordinanza citata e le numerose sentenze (CTR Lombardia 124/28/2012 – CTR Lombardia 2942/29/14) conformi a detta interpretazione sanciscono inequivocabilmente l’illegittimità della prassi dell’Amministrazione fiscale, stante il fatto che la procedura mediante iscrizione a ruolo e notifica della cartella di pagamento viene attuata fuori dai limiti previsti dalla legge. In presenza di un credito non contestato la procedura di accertamento non può che condurre al riconoscimento del credito stesso.
Da ultimo si rileva che con la circolare 25 giugno 2013 n. 21 l’Agenzia delle Entrate ha attenuato la rigida interpretazione adottata con la circolare n. 34/E del 6 agosto 2012 ;per questo motivo per i provvedimenti adottati prima della circolare del 2013 , può essere ravvisata una disparità di trattamento tra i contribuenti in presenza di una identica disciplina di legge.
Resta comunque il fatto che il contrasto giurisprudenziale persiste con recente trasmissione da parte della Sezione Tributaria della Cassazione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite proprio al fine di dirimere tale contrasto.

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