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IMPOSTA DI REGISTRO, PLUSVALENZA E TUTELA DEL VENDITORE

Come è noto ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro occorre fare riferimento al valore di mercato del bene mentre ai fini della plusvalenza assume rilievo il corrispettivo incassato.

Infatti ai sensi dell’art 51 e 52 DPR n.131/86 la base imponibile è il valore venale in commercio mentre ex art 67 e 68 DPR n.917/86 la base imponibile è la plusvalenza scaturita tra il prezzo di acquisto ed il prezzo percepito nella vendita.

Il concetto di valore è quindi del tutto estraneo alla nozione di plusvalenza; corrispettivo incassato e valore possono certo coincidere essendo del tutto ovvio che nessuno di regola aliena un bene per un corrispettivo inferiore al valore di mercato (da qui la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato).

Spesso gli Uffici individuano il valore di mercato (ricordo che è onere dell’Agenzia dimostrare il valore di mercato) con il valore accertato ai fini dell’imposta di registro definito in sede di adesione da parte dell’acquirente e ciò può comportare un grave pregiudizio per il venditore.

L’importo definito in seguito all’adesione della parte acquirente costituisce infatti, secondo la prospettazione dell’Ufficio, una presunzione grave, precisa e concordante di un maggior corrispettivo percepito dalla parte venditrice rispetto a quello dichiarato nell’atto di compravendita e nella prassi ,estinta l’obbligazione ai fini dell’imposta di registro, l’Ufficio procede nei confronti del venditore con avviso di accertamento a riprendere a tassazione ai fini Irpef la plusvalenza derivante dalla compravendita, comminando altresì la sanzione amministrativa per infedele dichiarazione.

Come può difendersi il venditore? Occorre premettere che nel campo dell’imposta di registro relativa agli atti di compravendita di immobili, l’imposta di registro è a carico della parte acquirente e per questo motivo parte venditrice è sostanzialmente portata a disinteressarsi degli eventi post vendita e che di solito non presta alcuna attenzione all’avviso di accertamento emesso ai fini dell’imposta di registro, essendo sua unica preoccupazione quella di essere tutelata in ordine alla solvibilità dell’acquirente a fronte della suddetta tipologia di accertamento.

Come abbiamo visto sopra, per l’Ufficio la definizione dell’acquirente costituisce un elemento da cui partire per effettuare un accertamento nei confronti del venditore; per questo motivo è opportuno che il venditore partecipi alla procedura dell’accertamento con adesione manifestando già in quella sede la propria contrarietà alla definizione ed in particolare fornendo tutti gli elementi di prova contraria.

E bene evidenziare che sono numerose le pronuncie delle Commissioni di merito,che pur ammettendo che dal valore possa risalirsi al prezzo, osservano come tale presunzione non può effettuarsi in modo automatico, specie nel caso di adesione dell’acquirente all’accertamento. In altre parole il valore accertato in adesione dalla parte acquirente non ha di per sé alcuna valenza di un incasso “in nero” di corrispettivo. Al riguardo la Suprema Corte di cassazione con sentenza n.23001/2012 ha affermato”che il corrispettivo sulla cui base calcolare l’imponibile ai fini dell’imposta dei redditi sulle plusvalenze non si identifica con l’imponibile ai fini dell’imposta di registro, fermo restando che quest’ultimo può costituire un elemento presuntivo dal quale l’A.F. può legittimamente risalire all’accertamento del primo, salva la prova contraria offerta al riguardo dal contribuente”. Resta il fatto che il comportamento dell’acquirente – che per motivi del tutto personali decide di non impugnare l’avviso ai fini dell’imposta di registro ovvero definisce lo stesso con adesione – ha degli effetti pregiudizievoli sulla posizione giuridica del venditore e proprio per questo motivo appare utile che quest’ultimo “anticipi” le proprie difese già in nel contenzioso in materia di imposta di registro.

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