I RAPPORTI TRA PROCESSO PENALE E PROCESSO TRIBUTARIO

Fino al 1982 i rapporti tra processo penale e procedimento tributario erano disciplinati  dall’art. 21 comma 4 della Legge n. 4/1929 che – in un quadro normativo caratterizzato dalla configurazione dei reati tributari come fattispecie di danno- subordinava l’esercizio dell’azione penale alla definitività dell’accertamento tributario e vincolava il giudice penale all’esito di tale accertamento. Con il decreto legge n. 516/1982 ( la cd . legge “manette agli evasori”) l’assetto normativo conobbe un radicale mutamento che – in un quadro un cui la tutela penale era anticipata a condotte propedeutiche all’evasione fiscale- escludeva la sospendibilità del processo tributario per la pendenza di quello penale, ma attribuiva alla sentenza penale irrevocabilità di autorità di cosa giudicata nel diritto tributario; assetto, questo che fu ritenuto conforme a Costituzione dalla sentenza n. 349 del 1987 della Corte Costituzionale.

Con il d.lgs. n. 74/2000 si è ripreso una tecnica di costruzione della fattispecie incriminatrice incentrata sull’evasione e ciò si è accompagnato ad una sostanziale conferma dell’assetto dei rapporti tra processo penale e processo tributario. L’art. 20 del d. lgs n, 74 del 2000 esclude la sospendibilità del processo tributario per la pendenza del procedimento amministrativo relativo ai medesimi fatti, mentre l’autonomia del processo penale rispetto a quello tributario discende dagli artt. 3 e 479 c.p.p.

In questo contesto normativo , la giurisprudenza di legittimità ha precisato che le sentenze pronunciate dal giudice tributario , se non definitive, non hanno efficacia vincolante nel giudizio penale, laddove, divenute irrevocabili, sono acquisibili  agli atti del dibattimento e valutabili  ai fini della decisone a norma dell’art. 238 -bis c.p.p. ; anche le sentenze tributarie definitive dunque non vincolano il giudice penale in quanto l’art. 238-bis c.p.p. consente l’acquisizione in dibattimento delle sentenze divenute irrevocabili, disponendo che esse siano valutate a norma dell’art, 187 e 192 comma 3 c.p.p. ai fini della prova del fatto in esse accertato, sicché spetta esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa in base ad una verifica che può venire a sovrapporsi e anche entrare in contraddizione con quella  eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria

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